EDITORIALE
di Beno «Se un giorno incappassi nei resti di don Giuseppe Buzzetti, cosa dovrei fare?»
Pur sapendo che non è una circostanza possibile, questa assurda domanda ha iniziato a battermi in testa mentre raccoglievo il materiale per realizzare l'articolo su di lui, svanito tra i monti oramai 90 anni fa.
Però questa domanda non mi era nuova...
Quand'era scomparso sui monti il mio compagno di scalate, per mesi lo abbiamo cercato. Volevo trovarlo per capire cosa gli fosse accaduto e se avrei potuto evitargli sofferenze intervenendo prima. Sapevo che, se io mi fossi perso, lui probabilmente sarebbe stato il solo che mi avrebbe potuto trovare, e portavo il peso della consapevolezza che, forse, valeva il viceversa.
Così infatti è stato. Quel giorno, quando ho tolto la neve che gli copriva il capo, sfiorandogli i capelli con la mano mi è parso di rivivere il suo incidente condensato in un'istante. Al sollievo di aver constatato che, anche se fossi giunto soltanto un'ora dopo la valanga, nulla sarebbe cambiato, si contrapponeva il senso di colpa perché, ora che avevamo scoperto il suo corpo, gli sarebbe toccata la sorte che tocca ai defunti in questa fetta di mondo.
«Quelle campanelle - scriveva Bruno Galli-Valerio - danno un suono di morto, quel gran panorama di valli, di laghi e di ghiacciai, diventa una piccola chiesa dove ardono ceri, e dove si prega presso una bara. Ma io, io lo conosco quel morto! Dove volete portarlo? No, no, non seppellitelo laggiù nel piccolo cimitero dove non arriva mai il sole, dove non fiorisce che qualche pianticella del piano! Portatelo lassù, lassù in alto, sopra gli alti pascoli di Scais, là dove il povero vecchio, come il padre Balthazar dell' Arlésienne, aveva domandato a Dio, in cui credeva, di morire in mezzo alle sue Alpi, là dove brillano così luminose le stelle.
Lasciate, lasciate quei ceri, quelle cerimonie da teatro: accompagnatelo tutti lassù alla sua ultima dimora, là di fronte ai ghiacciai del Redorta, nella valle ch'egli ha tanto amato. La neve gli appresterà un lenzuolo più bello di quello che voi gli avete preparato. Al venire della primavera, le azzurre genziane, i rododendri pari a grandi rose, ne orneranno la sepoltura. Portatelo, portatelo lassù il vecchio Bonomi. Egli non vi domandava nè preci nè fiori. Vi domandava solo quella libertà, che gli fu sì cara in vita, e che voi volete togliergli ora, rinserrandolo in una cassa, fra le quattro mura di un triste cimitero.»
Hanno collaborato a questo numero:
Adele Mori, Alessandra Morgillo, Alessandro Castriciano, Andrea Martocchi, Beno, Bruno Mazzoleni, Carlo Barilani, Corrado Lucini, Dario Cossi, Davide Zugoni, Enus Mazzoni, Enzo Vanotti, Federica Nova, Fausto Compagnoni, Fausto De Bernardi, Fabio Pusterla, Flavio Casello, Franca Prandi, Gabriele Fusetti, Giacomo Meneghello, Gioia Zenoni, Giovanni Rovedatti, Giuliano Giacomella, Giuseppe Conforto, Jean Malka, Kim Sommerschield, Luciano Bruseghini, Ludovico Mottarella, Marco Bettomè, Mario Pagni, Marino Amonini, Marzia Possoni, Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Maura Gurini, Mauro Premerlani, Paolo De Pedrini, Pietro Nana, Raffaele Occhi, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Roberto Dioli, Roberto Ganassa, Roberto Lisignoli, Roberto Moiola, Silvano Rossotti, Silvia Ruffoni, Stefano Roverato, Tano Perlini e Viviana Mauri.
Si ringraziano inoltre:
Giordano Gusmeroli, Marta Ravelli, Rossano Libera, Mimmo Fiorelli, Nicola Donagrandi, Giordano Angel, Silvio Gaggi, Avis Comunale di Sondrio, CAI Valtellinese (archivio Alfredo Corti), famiglia Nino Gianola, Flavio Tarabini, tutti gli intervistati e quelli che ci hanno accompagnato nelle gite, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista, gli sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti quelli che ho dimenticato di citare.