EDITORIALE Con questo editoriale esordiva, 10 anni fa, il primo numero de Le Montagne Divertenti:
“La Valtellina lontana dal turismo, lontana dalla frenesia del vivere moderno, lontana dal traffico, lontana dagli scempi edilizi,
si sta lentamente allontanando anche dai nostri ricordi.
È stata la nostra culla e la casa dei nostri antenati che, generazione dopo generazione, hanno creato e si sono tramandati la
cultura alpina. Le radici erano così profonde da illuderci che l’albero fosse immortale e neppure dinnanzi ai primi segni della
malattia sembrò necessario porvi rimedio.
Rimaniamo pochi nostalgici, seduti ai suoi piedi ad osservare le ultime foglie che cadono, mentre ricordiamo quanto un tempo
quell’albero fosse bello, verde e rigoglioso. Il ruscello che bagnava la terra è asciutto perchè con le sue acque si è prodotto
denaro, col denaro si è costruita una strada per trasportare nuove merci che nessuno aveva mai visto. I forestieri che le
possedevano sembravano felici, la ricchezza era facile e poco faticosa. Così, senza porci tante domande, anche noi valtellinesi
abbiamo rincorso la modernità dimenticandoci chi eravamo, guardando i nostri avi come masochisti che si spezzavano la
schiena per vivere abbracciati a queste montagne, senza mai sfruttarle per effimeri profitti.
Ignoranza o saggezza?
Nessuna somma potrà restituirci ciò che è andato perso. Ogni foglia che cade spunta un nuovo capannone, crolla una vecchia
baita, i rovi si mangiano una vigna. Ma, mentre qualcuno vorrebbe estirpare subito il nostro albero, noi tentiamo d’annaffiarlo
aspettando che germogli ancora.
Le Montagne Divertenti è una rivista trimestrale che invita a riscoprire la Valtellina alpina, specialmente i luoghi meno battuti.
Leggende ed aneddoti, assieme a testimonianze sul passato, sia per quel che riguarda l’alpinismo, sia per quel che riguarda la
vita di tutti i giorni. Prenderemo per mano il lettore e lo accompagneremo in un viaggio inusuale fra picchi e prati, ghiacciai
e paesi, rocce e fiumi, animali ed erbe. Un numero della rivista per ogni stagione, un racconto per ogni zona della Valtellina e
tante, tante foto.
Un piccolo omaggio alla nostra terra.”
La Valtellina di un tempo, grazie anche a questa rivista, non sembra più così lontana, anzi è diventata parte di un bagaglio
conoscitivo comune a chi ama questa terra, insieme alla consapevolezza di dover porre rimedio agli effetti collaterali del
boom economico. Ma al contempo ci attendono nuove sfide: la rincorsa più cieca e inconsapevole alla modernità è per molti
versi accelerata nel turbinio di nuove false esigenze, imposizioni e incertezze create da globalizzazione e consumismo, da
individualismo e frenesia. Come porvi freno?
In questo la montagna si pone come un’àncora di salvezza. Ogni volta che ne contempliamo i recessi più inospitali, ci ricorda
come i nostri antenati riuscissero a vivere in modo più essenziale ma soprattutto più dignitoso, in quanto la dignità sta nel
saper rispettare la Natura e i suoi ritmi (che sono anche i nostri), nell’avere il tempo di riflettere e di scegliere, nel costruire
per tutti e non solo per se stessi, in quello spirito di comunità che sta scomparendo.
“Ignoranza o saggezza?”. Mi sono posto tante volte questa domanda. La conclusione a cui sono arrivato è che nel soverchiante
bombardamento mediatico a cui siamo continuamente esposti non può esserci saggezza senza una buona dose di ignoranza,
voluta e consapevole. Saper ignorare preserva il nostro animo dal demone del consumo, che impone - pena l’emarginazione
nella società - di cambiare e buttare le cose, siano esse materiali, siano esse i nostri stessi sentimenti e valori. Ad esempio, se
provate per qualche tempo a spegnere la televisione e a non utilizzare i social network (oggi i principali strumenti di controllo
di massa), vi accorgerete che i vostri oggetti invecchieranno meno velocemente e il tempo rallenterà. E non per merito della
ridotta esposizione alle onde elettromagnetiche, ma perché si risveglierà in voi il primordiale disinteresse verso l’inutile e lo
spreco. Ve lo dice chi li ha, senza rimpianti, eliminati entrambi.
Infine ho scoperto che quel “qualcuno che vorrebbe estirpare subito il nostro albero”, a cui imputare le colpe della follia del mondo
d’oggi, non esiste. “I Tedeschi sono andati via. Come faremo ora a liberarci?” recita la canzone de I Ministri “Tempi bui”. Una
considerazione paradossale per ricordare che non c’è più un tiranno da uccidere, un esercito da sconfiggere, un politico corrotto o
un imprenditore senza scrupoli da ammanettare per svincolarsi dal giogo della “modernità liquida”: è la gente stessa a mettersi
le catene, condividendo poi un selfie in cui sorride dentro una gabbia di convenzioni, fingendo di essere felice e, stupidamente,
credendo che mostrare delle maschere sia la condizione necessaria e sufficiente alla felicità stessa.
Per liberarsi basterebbe solo volerlo, dato che le catene sono tutte azionate da interruttori che è nostra facoltà, in qualsiasi
momento, spegnere. Purtroppo però, anche se ci si lamenta della sua mancanza, è proprio la libertà ciò che più spaventa.