n.51 - Inverno 2019

n. 51 - Inverno 2019
SPECIALI
11 Eugenio Fasana (1886-1972) “Ah, quel Klucker! Che uomo, eh?”
21 Il fluido nelle mani Guaritori di paese
41 Strada dei Turnaché È stata brutalmente asfaltata
44 Val d'Arigna El panù del Belgio
50 Racconti di Antonio Boscacci Lo stupore

ALPINISMO
53 Val Gerola Il Torrione di Mezzaluna (m 2333)
60 Orobie Monte Aga (m 2720)
68 Valmalenco Dov'è la cima di Fellaria (m 3088)?
75 Ricordi In casa di un amico

ESCURSIONISMO
78 Alta Valtellina Cima di Savoretta (m 3079)
84 Valchiavenna Mottàli e Baràca del Pòles
90 Versante retico Berbenno: Rane run
97 Approfondimenti A scuola a Maroggia
98 Approfondimenti La leggenda del Centón dei Piasci

RUBRICHE
100 Viaggi Lofoten
108 Natura Rombo il Bombo / Vischio / Lepre / Bosco
124 Fumetti Poggi Texas Rangers (4° episodio)
130 Rubriche Oggetti / Foto dei lettori
146 Le ricette della nonna El panù


EDITORIALE
di Beno
 
L'età della crisi
Con questa definizione non mi riferisco ai problemi esistenziali di un neo-quarantenne, ma a quelli della nostra società e delle situazioni ripetitive che ho visto in quarant'anni, tra cui, appunto, il dichiarare con sempre maggior frequenza uno stato di crisi basandosi su indici economici la cui effettiva relazione di proporzionalità con lo stato di soddisfazione degli individui è facilmente contestabile. Una volta che i media diffondono la notizia della crisi e creano la conseguente preoccupazione nella gente, la politica, fatta di arrivisti privi di coraggio e sudditi della più becera globalizzazione, assegna poteri speciali a tecnici selezionati che prescrivono un surplus di produzione e di consumo di merci e di energia. Così disponiamo di sempre più merci e divoriamo sempre più energia, finendo però nel circolo vizioso di quella che Ivan Illich definisce la “versione moderna della povertà”, ovvero quello stato di opulenza frustante che colpisce sia ricchi che poveri. “Opulenza” in quanto abbiamo ben più del necessario, “frustrante” in quanto siamo schiacciati dalla copiosità di beni prodotti in serie e di servizi professionali che siamo indotti o costretti ad acquistare, direttamente o collettivamente (cioè pagandoli con le tasse). Ma non solo, questa imposizione distrugge la nostra creatività, la nostra autonomia e ci fa dubitare di poter cavarcela da soli. L'economista tradizionale, i cui strumenti sono inadatti a misurare il nostro disagio, e il populista, il cui cervello è incapace di riflettere, ribadiscono che il permanere del disagio anche dopo le precedenti cure sia legato ancora un difetto d'intensità di consumi che non hanno avuto un tasso d'aumento sufficiente. Viene quindi prescritta una nuova accelerazione, una nuova e più massiccia dose di droga, che non solo accresce malessere e frustrazione, ma anche la dipendenza stessa dal mercato.

Continueremo così: accelerando, sempre più frustrati, fino a stravolgere questo pianeta?
Io spero di no, ma il primo passo per sfuggire a questa parabola discendente è rendersi conto di ciò che è successo. Il secondo è riprendere fiducia in noi stessi. È in quest'ottica che ci può essere di aiuto l'arretratezza della nostra provincia, come fu pretestuosamente definita la sua stoica resistenza all'onda d'urto della globalizzazione, durata fino a un paio di generazioni fa. È ancora facile apprezzare il modo in cui i nostri nonni riuscivano a vivere in e di queste montagne. Con quale astuzia ne addomesticassero i fianchi, producessero gli utensili, gestissero i problemi quotidiani, non sprecassero risorse e con quanta tenacia si adoperassero per lasciare ai figli una terra sempre migliore. Generazione dopo generazione. Vivendo talora con austerità, ma sempre con orgoglio, dignità e specialmente, seppur con mezzi limitati, con molta più autonomia di noi: nel crescere ed
educare i figli, nel costruirsi la casa, nel procacciarsi il cibo, nel gestire gli animali, nel poter fare un uso condiviso dei beni strumentali, nel valutare e appagare i propri bisogni. Meno carte, meno obblighi, meno adempimenti, meno diritti degenerati in doveri sotto le mentite spoglie di tutela della libertà.

Il fluido nelle mani
Nell'ambito della tradizionale gestione delle problematiche quotidiane rientra lo speciale di questo numero sui guaritori di paese: persone con una sorta di speciale fluido nelle mani, ovvero una capacità innata poi perfezionata con la pratica che non derivava né da titoli di studio né dall'iscrizione a un albo professionale. La loro efficacia era certificata da tutti quelli che si rivolgevano alle loro cure. Chi di noi non è mai stato aggiustato da un cunsciaòss? Eppure ci siamo fatti persuadere che la mancanza di attestati ufficiali, che implicano l'apprendimento di nozioni standard, non solo infici l'esito delle manipolazioni articolari, ma le renda pericolose e perciò chi le pratica vada perseguito. E così, ingenuamente, pur essendo testimoni della guarigione da slogature, distorsioni, lussazioni, torcicollo e mal di schiena, non abbiamo difeso queste figure dalla caccia alle streghe indetta più che per tutelare la salute dei pazienti, per imporre l'erogazione di servizi professionali a pagamento (come è a pagamento ottenere il titolo professionalizzante)!
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